PAULINE ALLA SPIAGGIA (PAULINE A LA PLAGE) |
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di Eric Rohmer, con Amanda Langlet, Arielle Dombasle, Pascal Greggory
(Francia, 1983)
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Marion, una delle protagoniste di Pauline à la plage (uno dei film della Piazza più ammirati ma anche contestati a Locarno) dichiara di voler "ardere d'amore". Da motivazioni di questo tipo, puramente accademiche, prettamente arbitrarie, nascono i comportamenti dei personaggi di Rohmer. Ognuno segue il programma dettato dal proprio desiderio. E questo programma diventa la chiave motrice del racconto, la legge che sposeranno i diversi elementi dell'espressione cinematografica, primo fra tutti quello che detta, con la sua perfezione letteraria, il tono del tutto, il dialogo. Possesso e desiderio sono le chiavi per entrare nel discorso, non solo morale ma anche linguistico di Rohmer. Ma si tratta di elementi non certo fisici, se non nelle apparenze: l'amore, così come l'attrazione sessuale, sono dei semplici pretesti. Che servono ai personaggi per esprimere il loro potere, se sono maschili. Mentre a quelli femminili rimane il ruolo opposto: sottomessi, esercitano un potere di seduzione. Contravvenire a queste regole, come per la Sabine di Le beau mariage o la Marion di Pauline significa andare a sbattere contro un muro. Reazionaria la protagonista del primo, alla quale persino la madre rimprovera che prima bisogna stare con un uomo e poi, caso mai, riuscire a farsi sposare? Semplicemente sciocchi i personaggi da spiaggia del secondo? Indubbiamente: ed è quello che urta degli spettatori abituati ad un cinema di esplicita, quanto sommaria liberazione. Ma si dimentica di porre un occhio a quello che regola il cinema di Rohmer, come quello di qualsiasi altro: il linguaggio. La precisione totale del cinema di Rohmer (dall'ambientazione agli abiti dei personaggi, dal tono della recitazione alla scelta delle gradazioni cromatiche) fa sì che i suoi attori siano più dei soggetti di studio che dei personaggi. Delle loro debolezze il regista fa la ragione del proprio sguardo cinematografico: per iscriverli in un gioco sapiente, che ancor maggiormente sottolinea la loro imperfezione. Si è parlato spesso, a proposito del classicismo di Rohmer, di Marivaux. E cade a proposito la citazione di quanto Voltaire diceva di Marivaux: "un uomo che ha passato la vita a pesare delle uova di mosca con dei bilancini fatti di ragnatele". I personaggi di Rohmer non evolvono, sono i medesimi alla fine del film di ciò che erano all'inizio: sono degli esempi di cornportamento teatrale, filmati con un uso maturo del cinema che li rende essenzialmente cinematografici. Molière illustrato da Hitchcock. Il cinema rohmeriano crea con i sentimenti. Non solo, ma coi sentimenti riesce a creare una tensione, una suspense proprio hitchcockiana. Lo spettatore moderno si rende conto dell'evidenza (fino alla futilità) della meccanica aneddotica di Rohmer. Ma il suo cinema è anche questo: il piacere di fondere, con una perfezione ed una grazia che ci confondono ad ogni istante un'idea letteraria (una sceneggiatura, in termini più cinematografici), alla qualità di uno sguardo.
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